L’export del primo semestre del 2021 è pari a circa 300 miliardi di euro e supera abbondantemente i 244 miliardi dello stesso periodo del 2020, ma anche i 286 miliardi dell’anno record dell’export italiano, il 2019. L’Italia sta facendo meglio anche rispetto ai principali partner europei.

L’aumento delle esportazioni italiane nel primo semestre del 2021 (+22,8%) è stato superiore all’incremento di Germania e Francia, confermando il ruolo da assoluto protagonista del nostro Paese. Relativamente ai consumi, nel secondo trimestre dell’anno hanno registrato la tanto attesa inversione di tendenza, crescendo del 5.2% rispetto al trimestre precedente, grazie alla spinta delle voci di spesa più colpite dalle restrizioni anti-Covid: servizi e beni semidurevoli.

In termini di volumi, gli scambi mondiali sono proseguiti a ritmi molto sostenuti nel primo trimestre 2021, per poi stabilizzarsi nel secondo. I dati in valore sono in continua espansione, sostenuti dalla fase rialzista dei prezzi. La sfida più importante è consolidare il processo di crescita in modo che dal 2023, nel 2024 e 2025, si possano avere livelli di crescita sistematicamente più elevati rispetto al passato.

Si prevede che le vendite del made in Italy continueranno ad aumentare nel 2022 del 5,4% per assestarsi poi su una crescita media del 4% nel biennio successivo toccando i 550 miliardi nel 2024 e con i beni d’investimento particolarmente reattivi grazie al traino della meccanica strumentale e dei mezzi di trasporto.

Quanto ai servizi, più colpiti dalle misure restrittive della pandemia soprattutto sul turismo, si è rilevato un recupero solo parziale nel 2021 (+5,15%), con la ripresa vera e propria che dovrebbe avvenire nel 2022 tornando ai livelli del 2019, grazie a un incremento del 35,1%.

 

Produzione industriale italiana

A soffrire di più negli ultimi anni sono state le micro imprese: quelle che prevedono un livello di liquidità insufficiente infatti superano quota 60%. Aprile si annunciava come il mese più buio per la produzione industriale e così è stato. Secondo le rilevazioni Istat la produzione industriale di aprile cede il 19,1% rispetto al mese precedente, il 42,5% in rapporto allo stesso periodo del 2019.

In questo scenario, recuperare crediti all’estero diventa per le aziende italiane esportatrici un asset economico su cui puntare la propria ripartenza. Un quadro in parte mitigato dalle eccezioni per alcune filiere importanti (alimentari, chimica e farmaceutica). Dal punto di vista settoriale nessun comparto infatti registra un segno positivo.

Farmaceutica e alimentari, penalizzati in termini di domanda ma non bloccati nell’offerta, contengono i danni in 7/8 punti percentuali su base annua e anche la chimica riesce a spuntare un -21,5%, ottimo alla luce del resto dell’economia.

Trainata verso il basso in particolare dalla produzione di auto, tracollo che spinge a -74% la produzione di mezzi di trasporto e che si accompagna a produzioni dimezzate per l’intera area della meccanica e della componentistica. Media manifatturiera che nel complesso arretra del 45,6%, peggio del dato complessivo, sostenuto da una parziale tenuta (-13,8%) dell’energia.

La ripresa dipende dalla riapertura dei mercati internazionali: man mano che si stanno riavviando anche l’export italiano vive una ripartenza.

Recupero crediti all’estero nel 2022: come gestire le insolvenze?

Le PMI italiane come abbiamo visto sono spesso votate all’export. Questo rappresenta un indubbio punto di forza che le mette al riparo dalle debolezze della congiuntura nazionale, ma può presentare anche alcuni svantaggi. Fra questi ci sono sicuramente le maggiori difficoltà nel recuperare gli insoluti. Recuperare crediti esteri può essere più o meno complicato a seconda del Paese di provenienza del debitore, va da sè che generalmente far parte dell’Unione Europea aumenta le probabilità di recuperare il dovuto.

Vediamo dunque quali sono le differenze e quali sono i possibili scenari:

Il recupero crediti all’interno dell’Unione Europea

Come succede in Italia, il primo tentativo va fatto in bonis, senza coinvolgere l’autorità giudiziaria. Questa procedura va fatta in maniera ponderata e si rivela spesso risolutiva.
Si tratta di un’operazione apparentemente semplice, ma la sua riuscita dipende da quanto la “minaccia” di un’azione legale sembri concreta e credibile al destinatario. È quindi importante che la comunicazione venga gestita da un professionista interno all’azienda o da una società specializzata nel recupero dei crediti che conosca bene le normative del Paese in cui opera il debitore. Fare leva su determinati fattori, legati alla singola azienda, allo specifico contratto o al mercato, insieme alla capacità di parlare la lingua del debitore, aiuta a intavolare una valida trattativa e porta al successo con maggiore frequenza.

Se questa gestione non sortisce i risultati sperati, non resta purtroppo altra via che quella giudiziaria. La strada è decisamente meno in salita per chi vanta un credito all’interno dell’Unione Europea. Nel Vecchio Continente si può infatti far ricorso al Decreto Ingiuntivo Europeo, che rende esecutiva in ogni Paese UE un’ordinanza di obbligo di pagamento emessa all’interno degli Stati membri.
Se non viene presentata opposizione dal debitore, oppure la presenta e il giudice la ritiene infondata, anche questa operazione è solitamente abbastanza agevole.

Una volta in possesso di un decreto ingiuntivo valido all’interno della UE, il creditore può anche ottenere i dati bancari del debitore per procedere al pignoramento.

 

Il recupero crediti al di fuori dell’Unione Europea

Quando il creditore non è comunitario cambia tutto radicalmente. Ogni pronunciamento di un tribunale italiano deve infatti essere riconosciuto dall’autorità giudiziaria estera. Si tratta di un processo non immediato, che risulta essere estremamente complicato in determinati Paesi. Le difficoltà di questa operazione sono tali che, in alcuni casi, è addirittura preferibile rivolgersi direttamente a un giudice del Paese dove si trova il debitore.

Come è facile capire, non esistono regole generali ma ogni caso va valutato singolarmente. E questo lo può fare solo una squadra di professionisti. Entrano infatti in gioco numerosi fattori, quali l’entità del creditola legge applicabilele altre clausole presenti nel contratto di vendita e, ovviamente, la giurisdizione del Paese estero
Si tratta di procedure costose e lunghe, in quanto è necessaria l’assistenza legale sia in Italia che all’estero. Infine, anche in caso di sentenza favorevole al creditore, non è sempre possibile recuperare tali oneri. La possibilità di non ottenere nulla va anche presa in considerazione per orientare, in base al realistico rapporto costo-benefici, la scelta delle azioni da intraprendere.

 

Con queste premesse è sempre utile e di fondamentale importanza investire in attività di prevenzione volte a ridurre se non eliminare radicalmente il rischio di credito delle aziende.

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